Breve analisi sui redditi da crypto-attività

Secondo la Corte di Giustizia UE (sentenza 22 ottobre 2015, C-264/14), le valute virtuali non possono essere assimilate ai beni materiali di cui all’art. 14 della direttiva IVA, pertanto, il cambio delle valute tradizionali (fiat) in valuta virtuale costituisce una prestazione di servizi ai sensi dell’art. 24 della direttiva IVA.

Ai fini IVA, l’Agenzia delle Entrate ha assimilato il cambio delle valute virtuali in valute fiat, alla stregua di operazioni esenti; ai fini IRPEF, invece, ha assimilato il trading di valute virtuali a quello delle valute estere che genera redditi diversi assoggettati all’imposta sostitutiva del 26% solo ove risulti integrata la finalità speculativa, ossia qualora contestualmente siano realizzate mediante cessione a titolo oneroso di valute estere, oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti e nel periodo d’imposta la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore a 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui.

La disciplina degli utility token

Gli utility token sono emessi da una società (tramite un cd. White paper) con l’obiettivo di raccogliere fondi in criptovalute per la realizzazione di un progetto specifico e consentono al possessore di ottenere beni ovvero servizi dalla società emittente.

I titolari dei token potranno restituirli in qualsiasi momento alla società emittente per fruire dei beni e servizi che la stessa è autorizzata a vendere.

L’acquirente potrà cedere il token a terzi, a fronte di un corrispettivo in valuta corrente o valuta virtuale.

La società emittente potrà decidere di cedere a terzi i token detenuti, ricevendo in cambio valuta corrente o valuta virtuale.

Inizialmente, l’Agenzia delle Entrate, in sede di risposta a interpello n. 14 del 2018, aveva chiarito che ai fini IVA, gli utility token possono essere assimilati ai voucher, quali strumenti che conferiscono al detentore il diritto a beneficiare di determinati beni e/o servizi. Conseguentemente, l’IVA sarà esigibile al momento della spendita del voucher, ossia all’atto dell’acquisto del bene/servizio che lo stesso incorpora (i.e. consumo finale), mentre l’emissione e la circolazione dei voucher, configurando una movimentazione finanziaria e non un’anticipazione della cessione/prestazione cui i “buoni” stessi fanno riferimento, non sarà rilevante ai fini del tributo (risoluzione 22 febbraio 2011, n. 21/E).

Il cambio tra valuta virtuale versus valuta tradizionale, e viceversa, sarà esente ai fini IVA (risoluzione 2 settembre 2016, n. 72/E).

Più di recente la stessa Agenzia (risposta a interpello n. 110/2020), con riferimento al caso in cui gli utility token consentivano l’accesso ai servizi della blockchain forniti da una start up, ha individuato una disciplina differente, assimilando l’acquisto del token verso corrispettivo di euro ad un pagamento per l’accesso a tali servizi. Pertanto, risultando integrato il momento di effettuazione della prestazione di servizi (art. 6, D.P.R. n. 633/72), l’operazione risulta rilevante ai fini IVA.

L’Agenzia delle Entrate giustifica la diversa disciplina adottata sostenendo che nel caso di specie il token non fosse assimilabile:

– a una “valuta virtuale” in quanto in sede di emissione ha finalità differenti da quella di “mezzo di pagamento” (contrariamente a quanto espresso dalla Corte di Giustizia UE, C-264/14);

– ai voucher, in quanto nel caso esaminato il token non dà diritto ad effettuare un successivo acquisto di beni e di servizi, ma il suo acquisto è esso stesso considerato alla stregua dell’acquisto di un servizio di accesso alla blockchain, assoggettabile ad IVA all’atto del pagamento.

In tale interpretazione, ritorna l’approccio fattuale che l’Amministrazione aveva adottato nel qualificare le valute virtuali in base al profilo soggettivo della fiducia di chi le riceve come mezzo di pagamento (risoluzione n. 72/E/2016) già utilizzato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, per assimilare le valute digitali ai mezzi di pagamento che si fondano sulla fiducia di chi li accetta. Si vedrà in seguito che tale approccio è stato utilizzato dai paesi di common law non già per qualificare il fenomeno delle valute digitali ma per disciplinarne gli effetti relativi.

Lo scambio d’informazioni

Lo scorso 2 giugno 2021 la Commissione Europea, ha deciso di avviare una consultazione pubblica, con l’obiettivo di ampliare e rafforzare il campo di azione della cooperazione amministrativa, al fine di garantire un’adeguata tassazione dei redditi e dei ricavi relativi ai nuovi mezzi di pagamento e di investimento, ed in particolare le cripto-attività e la moneta elettronica.

In particolare, la consultazione è diretta a comprendere l’utilizzo da parte degli utenti dei servizi che hanno ad oggetto cripto attività, la tipologia di servizi che vengono offerti agli utenti e la possibilità che i servizi e le attività che hanno ad oggetto crypto-attività siano tassati nell’ambito dei diversi stati membri.

Nell’ambito di tale indagine emerge la possibilità che i fornitori di servizi che hanno ad oggetto cripto attività (exchange), che già sono soggetti agli obblighi antiriciclaggio, siano soggetti anche agli obblighi di comunicazione a fini fiscali nella sostanza analoghi a quelli ad oggi gravanti sugli intermediari in merito ai meccanismi transfrontalieri volti ad ottenere un vantaggio fiscale potenzialmente indebito (DAC 6).

A fronte della capacità delle crypto asset di eludere le regole della trasparenza fiscale, incluso il CRS, il G20 ha dato indicazioni all’OCSE di includere tali attività nell’ambito dello scambio di informazioni.

A tale fine, il 22 marzo 2022 è stata pubblicata in consultazione la bozza del Regolamento CARF (Crypto Asset Reporting Framework & amandments to CRS – CARF) le cui regole ruotano attorno a quattro elementi chiave:

– l’ambito di riferimento delle cripto-asset che include i beni che possono essere detenuti e trasferiti in modo decentralizzato, senza l’intervento di intermediari finanziari tradizionali, compresi gli stablecoins, i derivati emessi sotto forma di un Crypto-Asset e alcuni token non fungibili (NFT). Da tale ambito sono esclusi:

a) gli utility tokens, collegati all’acquisto di beni e servizi e per questo portatori di un limitato rischio fiscale;

b) le valute digitali che saranno emesse dalle banche centrali.

– gli intermediari soggetti alla raccolta dei dati e ai requisiti di segnalazione (exchange, broker, wallet service providers e dealers in Crypto ed operatori ATM in Crypto);

– le transazioni soggette a segnalazione e le informazioni da segnalare in relazione a tali transazioni. Le informazioni rilevanti riguardano:

a) gli scambi da Crypto a Crypto;

b) gli scambi da Crypto a valuta FIAT;

c) i pagamenti in Crypto;

d) i trasferimenti di Crypto.

– gli obblighi di due diligence che devono essere adottati dagli intermediari soggetti per individuare l’identità e la residenza fiscale degli utilizzatori di crypto. Tali obblighi si fondano sull’attestazione di adeguata verifica predisposta ai fini AML e sono conformi agli analoghi obblighi previsti ai fini CRS.

Analisi comparata dei redditi rivenienti da cryptoattività

In mancanza di una disciplina positiva del fenomeno, diventa rilevante esaminare come esso sia stato qualificato dalle giurisdizioni estere. Dalla ricerca svolta emerge che alcuni paesi qualificano le valute digitali alla stregua di attività finanziarie; parimenti, a prescindere dalla natura dell’attività la disciplinano differentemente a seconda che essa sia detenuta con finalità di investimento o speculative. Interessante evidenziare l’esperienza UK, che in un approccio da common law, non si pone il problema di qualificare la natura dell’attività ma disciplina il fenomeno in funzione dell’utilizzo che il contribuente fa dei token.

In particolare, dalla ricerca svolta è emerso quanto segue:

– Olanda: assimilati ai capital gain su attività finanziarie (rendimento forfettario 5,53% e tassazione separata 1,71%);

– Irlanda: assimilati ai capital gain su attività finanziarie (soggetti all’imposta personale – territorialmente non rilevanti per i NON-DOMICILED);

– Ungheria: assimilati ai capital gain su attività finanziarie (soggetti alla sola imposta personale 15% ma non ai contributi sociali 15,5%);

– Germania: assimilati ai capital gain su attività non finanziarie (soggetti a tassazione ordinaria ed esenti se venduti entro un anno dall’acquisto);

– UK: l’HMRC non considera i cryptoasset come valuta o denaro. Il trattamento fiscale di tutti i tipi di token dipende dalla natura e dall’uso del token e non dalla definizione del token;

– Francia: assimilati ai capital gains su attività non finanziarie (Soggetti a tassazione ordinaria);

– Lussemburgo: assimilati ai redditi diversi su beni immateriali (Soggetti a tassazione ordinaria ed esenti se venduti entro sei mesi dall’acquisto);

– Austria: capital gains soggetti ad imposta sostitutiva del 27,5%;

– US: assimilati ai capital gains su attività (breve periodo a imposta ordinaria, lungo periodo imposta 15% o 20%).

 



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